GENOVA. 4 GIU. Capita, con discreta frequenza, che mi pervengano studi e documenti sull’efficienza del Lavoro pubblico, inviti a seminari sulla performance aziendale.
Se il primo impulso è cestinarli, eliminarne ogni traccia materiale, tuttavia, prevale il secondo, più ragionevole, di leggerli e metterli da parte: per osservare, nel tempo, l’evoluzione dei concetti espressi in relazione alla qualità delle eventuali azioni di risanamento adottate.
Così, la email di un recente Webinar (seminario via web) sullo “Smart working” (lavorare agile) mi induce ad esprimere alcune brevi considerazioni sull’argomento.
Da un lato, a sottolineare una percepita paralisi dello stato dell’arte; dall’altro, un costante sdoganamento di rimedi demagogici, proclami in sedicesimo ed esercizi di maquillage organizzativo, attinti dalle più disparate fonti.
Suggerendo, per completezza, di attingere anche dalla fantascienza di Asimov, esprimo nel contempo la necessità di sof-fermarsi più di un attimo sulle vicende terrene e sulle eventuali cause dell’immiserimento del lavoro, invece che vagolare alla scoperta di lontane forme di vita nello Spazio, come fossimo a bordo dell’astronave Enterprise.
Gli addetti ai lavori resistano all’impulso di suggerire ulteriori strumenti burocratici per meglio identificare qualcosa che assomigli alla capacità ed al merito; resistano all’impulso di esorcizzare da presenze demoniache i soliti dipendenti pubblici.
S’impongano, invece, di approfondire meglio le criticità che, come in altri ambiti, paiono affliggere l’organizzazione del lavoro e, in specie, rendono sofferente il rapporto pubblico-privato.
Parlare di “lavoro agile”, in tale circostanza, coinvolge per ovvietà una serie di attori pubblici, dei quali la categoria dei dipendenti, incredibile ma vero, non è che una componente marginale e periferica rispetto ad un sistema fortemente centralizzato e politicizzato.
Nodo centrale è, in questo senso, il rinnovamento della Politica, per ciò che concerne l’individuazione di un management tale da generare condizioni organizzative plausibili.
D’altronde, si può forse sensatamente ritenere che l’ammaloramento di una componente periferica di un “sistema” non consegua alla modestia della componente centrale?
Solo partendo, a cascata, da una autorevole e coesa volontà, si potrà ottenere un livello di management maggiormente ispirato e non dedito alla logica pastorale di riportare le pecorelle smarrite all’ovile. E di esecrare quelle nere.
A mò di conclusione, solo bonificando la componente “decisionale” potremmo soddisfare entrambe le esigenze, del lavoratore e del cittadino, considerate finalmente non come entità contrapposte, ma facce della stessa moneta. E della stessa Società. (nella foto: un ufficio di protocollo nella pubblica amministrazione).
Massimiliano Barbin Bertorelli
Leggi l’articolo originale: La Pubblica Amministrazione & lo sdoganamento della “performance”