GENOVA. 24 SET. Capita talvolta, nel naturale disporsi ed evolversi delle vicende, che la nostra condizione non sia perfettamente allineata con taluni nostri desideri.
Capita anche talvolta che la nostra volontà sia direttamente od indirettamente ostacolata o quantomeno influenzata da circostanze, eventi, abitudini. E che soggiaccia ad una beante, insanabile fenditura, tra opportuno & inopportuno, tra bene & male, tra sé & altro da sé.
Progressivamente gravoso è l’incedere umano: come una piccola palla di neve che, rotolando verso il basso, s’inspessisce fino a diventare un enorme e pesante macigno.
L’atto di riflettere non sempre ci agevola. Spesso è solo un tributo ad esigenze precostituite, ad una prassi per cui l’agire istintuale e la spontaneità divengono la principale causa di errori, categorie arcane da mettere al bando.
A tal proposito, é prevedibile che taluni riservino faziosa critica alla sola idea che dall’avventatezza, dalla libera esternazione del pensiero, possa sortirne alcunché di positivo.
Non ho difficoltà nel credere, tuttavia, che ogni circostanza in cui abbiamo dato prova di accogliere i suggerimenti altrui o di scegliere secondo dettami precostituiti, in realtà abbiamo contribuito, nel tempo, più a “conquistarci un posto in cielo” che al nostro concreto bene.
Nella credibile ipotesi che ciascuno di noi, a proprio inconsapevole nocumento, crei col tempo convinzioni e suggestioni di comodo, adottiamo un’opzione alternativa ad una rassicurante e pseudo-domestica, cui siamo rimediabilmente assuefatti.
Il fiabesco epilogo “felici e contenti” è ormai un drappeggio applicabile a comoda discrezione: degna conclusione al “tutti vissero” del tempo antico ed altrettanto al “tutti finsero” del tempo presente.
Sia come sia, per premunire la nostra favola quotidiana di una legittima e giusta dose di verità, non resta che attingerla dalla nostra infanzia, nella considerazione che “avere un cuore da bambino non è una vergogna, è un onore” (cit. E. Hemingway).
Massimiliano Barbin Bertorelli